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Perché non possiamo non dirci darwiniani (3)

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Catena alimentareLa teoria dell'origine delle specie attraverso la selezione naturale è una teoria scientifica, capace di previsioni che possono essere falsificate da osservazioni sperimentali, e dotata di un enorme potere esplicativo. La biologia moderna non sarebbe pensabile senza di essa. Se stessimo parlando della fisica, diremmo che quella della selezione naturale è una legge. Ma, in fondo, perché non lo facciamo? Perché non diciamo che Darwin ha formulato una legge fisica?

Potremmo essere tentati di rispondere che non lo facciamo perché l'evoluzione parla degli esseri viventi. La fisica, si sa, si occupa di "oggetti inanimati": palle da biliardo, galassie e atomi. La selezione naturale agisce su esseri viventi, quindi è per definizione estranea alla fisica. Problema risolto.
Questa, per usare un termine tecnico, è una stupidaggine. Ci sono numerosi esempi di leggi fisiche che si applicano in maniera fruttuosa agli esseri viventi. Le leggi della termodinamica, ad esempio. Uno degli scopritori del principio di conservazione dell'energia, Julius Robert von Mayer, elaborò le sue idee studiando i processi di ossidazione che avvengono negli esseri viventi e attraverso i quali gli animali ricavano energia dal cibo ingerito. I biologi contemporanei applicano le leggi della fisica non soltanto agli organismi e alle cellule, ma anche agli ecosistemi da una parte e ai componenti macromolecolari delle cellule dall'altra.

Per quanto riguarda gli ecosistemi, è decisivo ad esempio lo studio delle trasformazioni energetiche che avvengono da un livello all'altro di una catena alimentare. L'energia irraggiata dal Sole viene convertita soltanto in parte dalle piante, mentre una percentuale elevata si disperde nell'ambiente come calore. Una simile dispersione dell'energia avviene quando gli erbivori si cibano delle piante o quando i carnivori si cibano di erbivori. (L'illustrazione che apre questo post è la raffigurazione ottocentesca di una di queste catene alimentari in un lago svedese.) Questi risultati sono in perfetto accordo con il secondo principio della termodinamica. Quando una società come la nostra sceglie di usare i cereali non per alimentare direttamente gli uomini, ma per ingrassare del bestiame destinato poi all'alimentazione umana, sceglie allo stesso tempo di sprecare letteralmente il 90% dell'energia fornita dai cereali: in questa maniera assai poco efficiente i cerali che potrebbero sfamare dieci esseri umani bastano appena per uno soltanto di essi.

Per quanto riguarda la biofisica delle "macchine molecolari" presenti all'interno delle cellule, oggi siamo in grado di ricostruire e misurare le forze agenti ad esempio su strutture come i flagelli che alcuni batteri utilizzano per la locomozione. In effetti, le strategie che permettono a esseri abbastanza grandi come noi di muoverci in un mezzo come l'acqua — nuotare o remare, ad esempio — sono inutili per un organismo un milione di volte più piccolo, come un batterio. Ed è proprio dai motori biologici sviluppati nei batteri dall'evoluzione che gli studiosi di nanotecnologie traggono ispirazione per progettare macchine microscopiche che forse un giorno trasformeranno la medicina e l'ingegneria.
Nell'illustrazione possiamo notare come l'anatomia del flagello di un batterio gram-negativo possa essere rappresentata in mnaiera estremamente simile a quella di un dispositivo meccanico.
descrizione di un flagello batterico

Un'altra spiegazione che potremmo avanzare per il fatto che la teoria della selezione naturale non sia considerata una teoria fisica è l'impossibilità di esprimerla con una legge matematica. Le leggi della fisica, dalla legge di gravitazione universale di Newton all'equazione di Schrödinger, hanno la forma di equazioni matematiche che legano fra loro le variabili che rappresentano le grandezze fisiche in esame. Nel caso dell'evoluzione darwiniana, la prima difficoltà in vista di una traduzione in termini matematici è proprio quella di individuare le variabili in gioco. Sarebbe ingenuo aspettarsi di poter scrivere un'equazione che permetta di calcolare la velocità della comparsa di nuove specie così come scriviamo l'equazione della velocità nel moto uniformemente accelerato. Il problema ha a che fare in parte con la difficoltà di definire il concetto stesso di "specie", che risulta talvolta inutilizzabile all'interno della stessa biologia. Ma c'è un aspetto più profondo, che è stato analizzato dal più grande biofisico italiano, Mario Ageno.
Fotografia di Mario Ageno

In Punti cardinali, un libro straordinario in cui egli espone le proprie riflessioni di scienziato su problemi come l'origine della vita sulla Terra o il significato delle teorie fisiche, Ageno illustra con grande chiarezza che cosa distingua le situazioni affrontate dalla fisica da quelle affrontate dalla biologia. La fisica ricerca leggi, relazioni matematiche che spiegano in che modo un sistema evolva da un certo stato iniziale a uno stato successivo: un oggetto cade da una certa altezza, un atomo assorbe un fotone e lo riemette, due galassie si scontrano fra loro. In tutte queste situazioni possono prodursi due casi fondamentali: o c'è un solo stato finale accessibile al sistema a partire dallo stato iniziale; oppure c'è un insieme di stati possibili, ciascuno caratterizzato da una certa probabilità. Abbiamo allora leggi fisiche deterministiche o probabilistiche.

Ma nell'evoluzione delle specie la situazione è profondamente diversa. Nessuno può elencare in anticipo le specie future alle quali potrebbe condurre l'evoluzione di una particolare specie, e non c'è assolutamente modo di associare neppure ad alcune fra esse una probabilità dotata di senso. Ogni organismo si trova al centro di un "paesaggio" evolutivo (in inglese Landscape) dove ad ogni punto corrisponde una certa condizione di vantaggio o svantaggio evolutivo. Il solo modo che l'organismo ha di conoscere tale paesaggio è esplorarlo, vivendo ed evolvendosi. E allo scienziato non è più possibile scrivere leggi e deve piuttosto — come fanno appunto i biologi evoluzionistici — ricostruire una storia. Si passa così dalla legalità della fisica alla storicità della biologia.

Un aspetto straordinario di questi concetti è che alcuni ricercatori contemporanei pensano che essi possano applicarsi alla stessa fisica dell'Universo. I fisici che si occupano di teoria delle stringhe, infatti, sanno che le ipotesi della teoria sono compatibili con un numero enorme di "universi possibili", ciascuno con le sue particolari leggi fisiche. Questa sconfinata collezione di universi, anche 10500 secondo i calcoli più accreditati, è stata battezzata da Leonard Susskind (uno dei padri della teoria delle stringhe) the Landascape, "il Paesaggio", con una analogia esplicita con la biologia evoluzionistica.
Possiamo pensare che l'universo si sia evoluto in un senso darwiniano? Questa tesi richiederebbe che esista non un universo, ma una popolazione di universi, sui quali operi una specie di selezione naturale. Ci sono cosmologi, come Lee Smolin, che hanno proposto proprio uno scenario di questo tipo. Magari ne parliamo un'altra volta…

Per approfondire:

Le catene alimentari in biologia

Un particolare motore biologico

Una pagina dedicata all'opera di Mario Ageno

Lo speciale di Radio3 Scienza dedicato a Mario Ageno e il relativo podcast

La pagina di Wikipedia dedicata a Leonard Susskind

Una esposizione della teoria di Lee Smolin degli universi fecondi


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